Gli anni e la loro aurea Il 10 maggio del 2006 fu un giorno indelebile per la Repubblica Italiana perchè, in quel giorno, fu eletto Presidente Napolitano, che passerà alla storia per avere avuto il mandato più duraturo della nostra giovane democrazia. . Era il maggio del 2006...evidentemente, ci sono anni che portano con se un'aurea particolare dato che, pochi mesi dopo, l'allora semplicemente Giacomo Devecchi, firmò con la squadra di Sassari. Una firma come tante altre, con una squadra di A2 da parte di un giocatore anche un po' deluso. In quella stagione Giacomo aveva raggiunto la promozione in serie A con Montegranaro ma la società alla fine lo diede in prestito. E chissà, cosa pensava e cosa si aspettava da questa nuova stagione l'allora (ancora) semplicemente Giacomo mettendo i piedi sull'isola, “arrivavo da una promozione nella massima serie ma Montegranaro non mi garantiva un minutaggio adeguato. Non ci rimasi benissimo nel sentire queste parole e i miei desideri erano di riscatto e rivincita, perciò scelsi Sassari che aveva un bel progetto”. Certo che, progetto o meno, le cose non andarono benissimo il primo anno “tra alti e bassi a metà stagione cambiammo allenatore dato che eravamo nei pantani delle parti basse della classifica e solo all'ultima giornata ci salvammo dalla retrocessione in serie B”. Nonostante questi risultati che poche emozioni regalano ad un desiderio di riscatto e rivincita Devecchi decide di rimanere a Sassari “si, sono rimasto, mi sono trovato bene. In estate cambiammo Coach e alcuni compagni”. Con Mele alla presidenza e Cavina in panchina, la squadra comincia a girare fino alla finalissima persa con Soresina.
La realtà supera i sogni Siamo nel 2009, Cavina lascia il posto a Sacchetti, Meo Sacchetti. La squadra segue il nuovo Coach, si crea la giusta amalgama e anche i tifosi da subito ne accettano la sua filosofia e accolgono entusiasti i risultati. Il capitano sorride quando gli si scova qualche vecchio scheletro dall'armadio: è infatti durante il Capodanno del 2009, in un veglione nella bellissima cornice dell'Isola Rossa, che Devecchi, l'allora capitano Vanuzzo e Guerra capiscono che la fantasia dei tifosi stia andando oltre ogni immaginabile pensiero. Da un tavolo vicino al loro parte un coro: “un capitano c'è solo un capitano”. I tre giocatori si avvicinano al tavolo e propongono un brindisi. Dallo stesso, parte la proposta di brindare al futuro scudetto...”dream until the dream come true” sembrano suggerire gli Aerosmith ai tifosi ma per Jack (ormai non più Giacomo)“l'alcool qua sta già dando alla testa...ma pesantemente!”. Certo, risposta plausibile la sua ma chissà, se nel profondo del cuore, a quei tempi avrebbe mai pensato che fosse possibile “noooo, assolutamente no” risponde convinto Giacomo
Il Triplete “ma anche la stagione dello scudetto è stata una stagione particolare. Nonostante avessimo già vinto Supercoppa e Coppa Italia, non riuscivamo a rallentare, avevamo davvero le alte massime. Quel gruppo è stato un qualcosa di irripetibile...anche la stagione scorsa abbiamo fatto cose straordinarie con un grande gruppo ma la differenza sostanziale che l'anno passato abbiamo fatto una grande stagione perchè eravamo tutti bravi ragazzi. L'anno del triplete c'era gente pazza, la follia era all'ordine del giorno e quelli più equilibrati eravamo poi noi italiani, che è tutto dire. Ogni singolo allenamento era un qualcosa di incredibile...risse sfiorate...un ambiente davvero incredibile”
Eppure, i risultati sono arrivati “si, col senno di poi posso dirti che anche quella follia fa gruppo e porta a vincere qualcosa anche se, è stata così strana come stagione che non saprei neanche dire se esiste una formula, un segreto per vincere lo scudetto. Dopo quell'annata ho capito che tutto è possibile perchè è stata una stagione davvero incredibile”
I Coach Devecchi ha menzionato due stagioni, quella con Coach Sacchetti e quella con Coach Pozzecco. Due persone che, sia da giocatori che da allenatori, hanno fatto la storia della pallacanestro italiana. Due persone apparentemente diverse. “Le caratteristiche umane di loro due sono superiori, non me ne vogliano, all'aspetto tecnico” (ma anzi, ne siano fieri, aggiungiamo noi) “la differenza la fanno con l'approccio che hanno verso la squadra. Per loro è molto importante stringere un rapporto di amicizia con i giocatori anche se lo fanno in maniera completamente differente. Meo è molto silenzioso e taciturno ma estremamente autorevole, come presenza e stazza. Anche se durante l'allenamento è fermo a bordo campo, tu la sua presenza la senti. E' molto bravo a trovare le chiavi giuste con ogni giocatore ed usa la sua autorità per far mettere tutti d'accordo e farli esprimere al meglio. Il Poz è ancora un ragazzino, è ancora un giocatore. Riesce benissimo a toccare i tasti giusti ma anche perchè ha vissuto gli stessi momenti poco tempo fa. Lui sa come stimolare i giocatori ma nello stesso tempo è bravo a coinvolgere i giocatori come persone. Ci tiene molto, fa tante riunioni individuali, cerca di capire quali sono i bisogni della persona per poterla mettere in condizione di rendere al massimo. Ma è altrettanto bravo con i lavori di gruppo con giochi e trucchetti che servono per cementare ed accrescere lo spirito di squadra.” Ovvio che siano Meo ed il Poz a muovere curiosità, eppure, tanti sono gli allenatori che ha visto passare Jack. Eggià, le parole non vengono a scritte a caso perchè gli anni passano e lui è sempre dove quel 2006 arrivò. Gli anni passano ma lui resta, punto di riferimento di una società che è ormai in simbiosi non solo con la città ma con tutta un'isola. E, il giovane Giacomo Devecchi che arrivò in prestito, ormai per tutti è diventato Jack. Torniamo però agli allenatori, tra i tanti, quale ha trovato particolarmente arcigno? “sicuramente Trinchieri, negli anni delle giovanili. Lui arrivava da una scuola serba fatta da sergenti dove si usa molto di più il bastone della carota. Era tosto, pretendeva tanto...non gli andava mai bene niente. Era molto concentrato sulla difesa ed in effetti, se anche io sono rimasto molto attento alla fase difensiva lo devo ai cinque anni trascorsi con lui”.
Gli avversari Accennando alla difesa, ci serve un assist e tra i vari che ha incontrato, quale è stato il giocatore che più lo ha messo in difficoltà? “sono tanti...ma Langford di Milano, aveva uno step back talmente lungo che lo rendeva immarcabile ed ogni volta, andavo in crisi”. A proposito di ricordi, ci sono anche quelli che rendono fantastico l'aver fatto sacrifici. Pensiamo ad atleti del calibro di Myers, che da un divano abbiamo ammirato lanciando sovente in aria i pop corn per le loro giocate. Poi, un giorno, uno di noi entra in campo e scopri di dovere marcare proprio lui, proprio Myers“era durissima, giocatori con un talento innato che, a fine carriera, aggiungono anche l'esperienza. I campioni sanno inventarsi qualunque giocata ma, con il passare degli anni, aggiungono la capacità di usare il proprio corpo come arma aggiunta. E' difficilissimo marcarli ma è stato poterli incontrare è stato un privilegio”.
La pallacanestro oltre il campo, le Amicizie Se sono tanti i ricordi di giocatori avversari, chissà quanti sono quelli dei compagni di squadra. Tanti, tantissimi ma mai troppi. E con molti di loro ancora è in contatto “la pallacanestro è bella anche per questo, perchè poi molte amicizie rimangono” A questo proposito, mandiamo, in tempo reale, un video di saluti di Brian Sacchetti. Jack se lo guarda in rigoroso silenzio. E, dal video, una curiosità brama di essere soddisfatta...ma al Pavone, cosa facevate? “ cosa tutt'ora facciamo! Il problema è quello, che la tradizione continua!”(se la ride Jack, che ci aiuta a soddisfare la curiosità) “ Al Pavone c'è casa di un nostro amico dove ci ritrovavamo almeno una volta al mese a fare serata. Era un bellissimo rituale che tutt'ora continua. Anche se siamo lontani ed in città diverse, appena possiamo ripetiamo quelle cene che per noi sono un qualcosa di speciale. Per forza di cose negli anni i componenti ruotavano ma dei fedelissimi rimanevano a formare un gruppo inossidabile. Queste cene hanno cementato la nostra amicizia e, ancora adesso, abbiamo una chat solo per queste cene, il gruppo Pavone”. Nel sentire parlare Jack, non possiamo che sperare che l'intervista si protragga il più possibile dato che, oltre ad essere un libro aperto sulla pallacanestro italiana, è capace di leggere questo libro con voce calma ma ricca di passione, senza nessuna inflessione al protagonismo ma con autorevolezza.
Il Capitano Queste sensazioni ci portano a capire perchè Jack sia diventato Capitano. Ma non solo le nostre sensazioni confermano che il ruolo assegnatogli va ben oltre una semplice dicitura sul referto della partita. Parlando con lo staff della Dinamo, noi lo chiamavamo Devecchi mentre loro, rispondendoci, ci parlavano semplicemente del “Capitano”. Una forma di rispetto verso il ruolo e la persona che abbiamo trovato essere di alto livello e che, prima di parlare con lui, ci ha piacevolmente sorpreso. Una lunga militanza nella stessa squadra non basta a farti diventare una pietra miliare un giocatore se non è accompagnata da uno spessore umano importante. E il Capitano, questo spessore umano ha dimostrato di averlo, sul campo e, soprattutto fuori dal campo, con la squadra, con lo staff e con la gente. Ed è per questo che il popolo Dinamo ha fatto una bandiera di lui e noi, di lui, ne abbiamo fatto il prototipo del giocatore “bandiera”. Ma la persona “Giacomo Devecchi”, come vive questa situazione? “ho sempre creduto molto nella figura del capitano, è un ruolo fondamentale e di grande responsabilità perchè, per primo, deve dare l'esempio e guidare la squadra. Sinceramente fatico a capire le squadre che danno questo titolo a giocatori troppo giovani o alla stella di turno, perchè trovo che questo ruolo perda del significato naturale che dovrebbe avere. Negli anni si impara molto, si impara a gestire le varie situazioni che si propongono all'interno dello spogliatoio, si conoscono le dinamiche della Società e della città stessa e sono tutte esperienze importanti da trasmettere ai nuovi compagni di squadra o ai più giovani, per far capire loro in quale ambiente sono stati catapultati. In passato, altri capitani, Vanuzzo e Rotondo su tutti, si sono comportati in questo modo con me, aiutandomi parecchio nell'inserimento e nella crescita. Io sto cercando di percorrere la stessa strada. Mi fa piacere che molti dei miei compagni, attuali e passati, mi abbiano riconosciuto una qualità che reputo importantissima, quella dell'affidabilità ed il vedere che si fidano di me chiedendomi consigli non può che gratificarmi”.
Il Popolo Dinamo ed il Popolo Sardo Sassari e le vittorie, Sassari e la gente. "Ca semus pru de uno giocu" è più di uno slogan, è una filosofia che accompagna la città e l'isola intera. Dopo lo scudetto e dopo la coppa, ad attendervi e salutarvi, in piazza avete trovato migliaia di persone. Per quanto non sia per nulla scontato trovare così tante persone, se c'è un momento in cui è lecito attendersi un movimento di masse è, ovviamente, dopo una vittoria. Quest'anno, al ritorno dalla sconfitta decisiva della finale scudetto, avete avuto la sorpresa di trovare ancora migliaia di persone ad attendervi “E' un qualcosa che va oltre al semplice aspetto sportivo ed è purtroppo difficile vedere nello sport una situazione del genere perchè, troppo spesso, il tifoso medio è più legato ai risultati che a quello che ti può trasmettere una squadra. Sassari da questo punto di vista è sempre stata una realtà dove il tifoso si è sempre fatto sentire, soprattutto nei momenti difficili dove, anche a piccoli gruppetti, si sono sempre avvicinati per fare sentire il loro affetto e darci coraggio. Dico sempre che Sassari è un'isoletta felice e a forza di ripeterlo, perdo quasi di credibilità ma è pura verità. L'affetto, l'amore e la passione di questa città si trasmette ai giocatori forse ancora di più quando le cose non vanno bene. Gli esempi possono essere davvero tanti ma basti pensare alla crisi che ha vissuto la società prima che subentrasse Sardara. I tifosi si sono contati e hanno fatto una raccolta fondi per far ripartire il basket a Sassari. Sono questi i valori che questo sport, questi colori e questi tifosi trasmettono a noi giocatori e questo ambiente è splendido ed unico”. Sassari ma non solo Sassari. Un lungo tour preparatorio alla stagione lungo l'isola ha dato dimostrazione di come tutta la Sardegna sia stata contagiata dallo spirito dei “Giganti”. Ci sembra corretto, quando si parla di popolo Dinamo, includere tutta la Sardegna. Chiediamo a Jack se la nostra sensazione è corretta “assolutamente si! Quando abbiamo vinto lo scudetto, al mattino successivo siamo atterrati ad Olbia. Dal tragitto dall'aeroporto a Sassari, ad ogni incrocio, ad ogni deviazione, abbiamo trovato campanelli di gente con sciarpe e bandiere ad aspettare il nostro passaggio per salutarci ed è stata un'emozione unica. L'estate scorsa ho fatto un passaggio al Camp che organizza la società tutti gli anni e dal nord al sud dell'isola, in qualunque posto vai i ragazzini sono sempre attenti ed appassionati e, quando capita che uno di loro ti fermi e ti dica che ha cominciato a giocare a pallacanestro appassionandosi nella stagione del triplete...beh, capisci che hai fatto qualcosa di davvero importante, che sei riuscito a trasmettere il tuo amore per questo sport ad altre persone” A forza di sentirlo parlare di Sardegna, non possiamo non chiedergli se c'è una frase o un aspetto dell'isola in cui si riconosce “mah...dicono che i Sardi son testardi...e ciò può essere letto con un'accezione negativa ma in realtà è il contrario...per esempio nel mondo della pallacanestro, l'essere testardo ti porta ad avere una grande determinazione ed una grande tenacia. Sono queste le caratteristiche che ti portano a non arrenderti mai e, come abbiamo dimostrato lo scorso anno, grazie ai tifosi che non mollavano mai, alla società che non mollava mai, anche noi giocatori ci siamo intestarditi e alla fine, abbiamo visto tutti come è andata a finire. Ma è solo un esempio, nella finale a Reggio Emilia abbiamo perso il primo quarto 21-4 e poi, grazie alla tenacia, siamo riusciti a vincere quella gara importantissima”. Jack, come già detto precedentemente, è un libro vivente sulla pallacanestro attuale ma non è solo presente o recente passato. Devecchi è cresciuto con la palla a spicchi tra le mani.
Jack e i Gallinari Quando, da piccino, usciva da casa per andare al campetto a fare due tiri, come noi ci portiamo gli amici, anche lui alla stessa maniera faceva. Solo che, tra gli amici, nel caso cugini, c'era un certo Danilo, Danilo Gallinari. E, quando erano troppo piccoli per andarci da soli, ad accompagnarli andava un certo Vittorio, Vittorio Gallinari...”Vittorio per noi era un esempio, un giocatore che ha vinto tanto in Italia ed in Europa. A noi veniva naturale provare a seguire le gesta di mio zio ed è stato lui a trasferirmi la passione per la pallacanestro. Con Danilo abbiamo consumato palloni su palloni, siamo cresciuti assieme fino ai diciotto anni a giocare a basket nei cortili. Poi, le nostre strade si sono divise e da quel momento, importantissimo è tornato ad essere Vittorio, che mi ha sempre consigliato bene. Se sono qui, se ho trovato la mia dimensione a Sassari e anche grazie a lui, che mi ha sempre spinto ed invogliato a rimanere in Sardegna. Un'episodio su tutti, nell'estate del 2009, l'estate precedente alla promozione con la Dinamo, avevo ricevuto parecchie proposte da altre società. Mi chiesi se fosse il caso, dopo quattro anni di fare una nuova esperienza ma lui, sapendo quanto mi trovassi bene , mi consigliò di rimanere a Sassari. Io, come i fatti dimostrano, rimasi ed è curioso pensare che una delle squadre che con più insistenza mi ha cercato, Veroli, fu proprio la squadra che incontrammo nella finale per venire in serie A. Ed a festeggiare la promozione fummo noi e se di quei festeggiamenti ho ricordi, è grazie anche a lui che in quell'occasione come in tante altre, mi ha sempre saputo consigliare con saggezza”.
Il Futuro Dopo tanto passato, è giunto il momento di dare uno sguardo al futuro. Jack ha firmato un contratto a vita con la Dinamo. Gli sporgiamo la sfera di cristallo per guardare cosa vede nel suo futuro “ormai mi sento Sassarese a tutti gli effetti. La vita mi ha dato tanto e la pallacanestro mi ha dato tanto e con entrambe mi sento in debito. Recentemente mi hanno dato la possibilità di essere testimonial con il minibasket. Mi attira molto l'idea di poter interagire con i bambini più piccoli, fare vedere a loro il mondo della pallacanestro dal punto di vista di un professionista. Avere questa possibilità mi riempe di orgoglio e va anche a riallacciarsi con il discorso del capitano che, per essere tale, deve esserlo anche al di fuori del mondo dello spogliatoio e della pallacanestro dei professionisti. Un sogno, sarebbe quello di avere in futuro, un posto nella società e continuare la mia esperienza con un società che tanto, tantissimo mi ha dato, sia a livello sportivo che umano” Ma a questi ragazzini che stai incontrando, cosa consigli per diventare giocatori e per crescere? La risposta di Jack è chiara e senza esitazione “il rispetto. Il rispetto per il gioco, il rispetto degli avversari ed il rispetto per se stessi. La pallacanestro è un gioco ma se impari ad avere rispetto nel gioco, imparerai ad averlo nella vita. Quando cresceranno, sarà fondamentale anche far capire loro quanto sia importante il rispetto per il proprio corpo, cominciando dall'alimentazione”.
Chiudiamo con questa parola chiave, “Rispetto” e, dopo questa intervista comprendiamo perchè Sassari consideri Jack un Capitano ed una bandiera. Bandiera che, da quest'oggi, sarà anche per noi, fiera a sventolare su tutto ciò che il basket rappresenta, in campo e fuori.
- Luca Maestri -
Intervista condotta da Carlo Zeddas e Luca Maestri
Si ringrazia la Dinamo e lo staff della Dinamo, in particolare nella persona di Valentina Sanna, per la cordialità e la disponibilità dimostrata.
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